Un autista di camion con maglietta bianca sporca, faccia scura e un orso di peluche gigante sul sedile accanto, mi taglia la strada. Sono troppo stupito per reagire anche se ero sulle strisce pedonali.
L'asfalto è bagnato, fa caldo, umido.
Un gatto sullo sgabello di un bar, un gatto vivo finalmente.
Ultimamente vedo solo gatti morti. Spiaccicati, aperti e debordanti. Uno senza testa.
Ho pensato a periodi bui o posti messi male dove la gente cammina tra i cadaveri.
Uno dei gatti morti è sulla strada che faccio ogni giorno per andare a lavorare.
Oggi ho visto la terza variazione del suo corpo dopo la morte.
È su un tratto di strada a scorrimento veloce. Ormai il corpo ha raggiunto il bordo della strada.
Probabilmente altra vita lo sta usando per cavarne energia.
Gli scarafaggi vinceranno, non è un'idea nuova.
Sulla strada i pazzi si rincorrono.
S'incrociano, sbattono quasi, o senza quasi.
L'altra sera ho trovato un incidente. Niente di grave. Un taxi con il paraurti posteriore ammaccato e dietro una macchina scura. Il tassista già fuori dalla macchina, al telefono.
Passo.
Semaforo rosso.
Alle spalle un rumore di ferraglia.
L'auto scura è ripartita.
Semaforo verde.
Vado, ancora uno rosso.
Sempre stride la ferraglia alle mie spalle.
Mi metto da un lato.
L'auto scura arriva, inchioda al semaforo e riparte.
Nel momento in cui ha inchiodato il matto ubriacone di mezz'età alla guida m'ha fissato con occhio di vetro e ghigno, Braccio di Ferro finito male, poi è ripartito. Lo seguo con lo sguardo. E lì sulle strisce appare uno spilungone con camminata da tossico e faccia pesta di mica pochi cazzotti presi.
Il matto inchioda. Il tossico fa un passo un po' più lungo, il matto riparte con una curva che fa le scintille.
È stato uno spettacolo. Quello sguardo, la velocità, il pericolo, poi quella sequenza talmente coordinata di frenata, tossico che si scansa, ripartenza, da sembrare studiata o quantomeno un caso su cui non avreste scommesso vedendone gli artefici.
E per finire scintille come fuochi d'artificio.
Il semaforo è verde e si riparte.
Dopo il camionista con l'orsacchiotto, i gatti morti, il matto che scappa dall'incidente, il mondo torna alla normalità. Non subito però, c'è prima un silenzio, che non è silenzio ma un abbassamento di tono. Un buco, una depressione della realtà che è lì, perfettamente a fuoco, nitida, ma per un attimo meno presente.
Questo stadio intermedio dura sempre meno.
Cosa succede? Il buco viene riempito dalla liquida realtà o si allarga fino a inghiottirla?
Non è possibile capirlo: non ci sono più due piani da comparare, non esiste più la differenza tra l'alto e il basso, tra il prima e dopo.
L'abitudine allo straordinario è una forma di autodifesa?
O è solo il modo più efficace per non compromettere il proprio obbiettivo?
Cioè: io sono uscito per fare la spesa, o per trovare da mangiare o da bere, per strada ci sono i cadaveri, c'erano anche ieri e il giorno prima e ancora prima non ricordo più da quanto, ma io devo andare a fare la spesa. Forse il primo giorno mi sono fermato, ho pianto e vagato per un mondo irreale di nebbie, forse, ma non ci posso pensare adesso, non ci devo più pensare.
Se i cadaveri sono sul marciapiede devierò camminando un po' sulla strada, se sono sulla strada guarderò dritto davanti a me come se lì per terra ci fossero pozzanghere o cartacce o piccole buche nell'asfalto. Io devo andare a fare la spesa se no muoio di fame.
In questo esempio l'obbiettivo, cibo o acqua è vitale (il morto sarei io, chissenefrega dei cadaveri altrui!), ma se moderiamo il tutto possiamo sostituire al cibo una destinazione qualsiasi e ai morti sul marciapiede un lampo di assurdo o di deviante che incroci il nostro cammino. Sacrificheremo il percorso alla destinazione? Gli scarti dalla normalità alla piana, stabile, comprensione assoluta?
Com'è e come non è, questa cosa da giornata piovosa sdrucciola su di sé.