cose scritte da neko

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venerdì 12 agosto 2011

Cosa da giornata piovosa



Un autista di camion con maglietta bianca sporca, faccia scura e un orso di peluche gigante sul sedile accanto, mi taglia la strada. Sono troppo stupito per reagire anche se ero sulle strisce pedonali.


L'asfalto è bagnato, fa caldo, umido.

Un gatto sullo sgabello di un bar, un gatto vivo finalmente.

Ultimamente vedo solo gatti morti. Spiaccicati, aperti e debordanti. Uno senza testa.

Ho pensato a periodi bui o posti messi male dove la gente cammina tra i cadaveri.

Uno dei gatti morti è sulla strada che faccio ogni giorno per andare a lavorare.

Oggi ho visto la terza variazione del suo corpo dopo la morte.

È su un tratto di strada a scorrimento veloce. Ormai il corpo ha raggiunto il bordo della strada.

Probabilmente altra vita lo sta usando per cavarne energia.

Gli scarafaggi vinceranno, non è un'idea nuova.


Sulla strada i pazzi si rincorrono.

S'incrociano, sbattono quasi, o senza quasi.

L'altra sera ho trovato un incidente. Niente di grave. Un taxi con il paraurti posteriore ammaccato e dietro una macchina scura. Il tassista già fuori dalla macchina, al telefono.

Passo.

Semaforo rosso.

Alle spalle un rumore di ferraglia.

L'auto scura è ripartita.

Semaforo verde.

Vado, ancora uno rosso.

Sempre stride la ferraglia alle mie spalle.

Mi metto da un lato.

L'auto scura arriva, inchioda al semaforo e riparte.

Nel momento in cui ha inchiodato il matto ubriacone di mezz'età alla guida m'ha fissato con occhio di vetro e ghigno, Braccio di Ferro finito male, poi è ripartito. Lo seguo con lo sguardo. E lì sulle strisce appare uno spilungone con camminata da tossico e faccia pesta di mica pochi cazzotti presi.

Il matto inchioda. Il tossico fa un passo un po' più lungo, il matto riparte con una curva che fa le scintille.

È stato uno spettacolo. Quello sguardo, la velocità, il pericolo, poi quella sequenza talmente coordinata di frenata, tossico che si scansa, ripartenza, da sembrare studiata o quantomeno un caso su cui non avreste scommesso vedendone gli artefici.

E per finire scintille come fuochi d'artificio.

Il semaforo è verde e si riparte.


Dopo il camionista con l'orsacchiotto, i gatti morti, il matto che scappa dall'incidente, il mondo torna alla normalità. Non subito però, c'è prima un silenzio, che non è silenzio ma un abbassamento di tono. Un buco, una depressione della realtà che è lì, perfettamente a fuoco, nitida, ma per un attimo meno presente.

Questo stadio intermedio dura sempre meno.

Cosa succede? Il buco viene riempito dalla liquida realtà o si allarga fino a inghiottirla?

Non è possibile capirlo: non ci sono più due piani da comparare, non esiste più la differenza tra l'alto e il basso, tra il prima e dopo.


L'abitudine allo straordinario è una forma di autodifesa?

O è solo il modo più efficace per non compromettere il proprio obbiettivo?

Cioè: io sono uscito per fare la spesa, o per trovare da mangiare o da bere, per strada ci sono i cadaveri, c'erano anche ieri e il giorno prima e ancora prima non ricordo più da quanto, ma io devo andare a fare la spesa. Forse il primo giorno mi sono fermato, ho pianto e vagato per un mondo irreale di nebbie, forse, ma non ci posso pensare adesso, non ci devo più pensare.

Se i cadaveri sono sul marciapiede devierò camminando un po' sulla strada, se sono sulla strada guarderò dritto davanti a me come se lì per terra ci fossero pozzanghere o cartacce o piccole buche nell'asfalto. Io devo andare a fare la spesa se no muoio di fame.


In questo esempio l'obbiettivo, cibo o acqua è vitale (il morto sarei io, chissenefrega dei cadaveri altrui!), ma se moderiamo il tutto possiamo sostituire al cibo una destinazione qualsiasi e ai morti sul marciapiede un lampo di assurdo o di deviante che incroci il nostro cammino. Sacrificheremo il percorso alla destinazione? Gli scarti dalla normalità alla piana, stabile, comprensione assoluta?


Com'è e come non è, questa cosa da giornata piovosa sdrucciola su di sé.